Città di Castello, Confcommercio denuncia l’emergenza centro storico
Oltre 20 attività commerciali chiuse in appena 6 mesi, ed altre che potrebbero abbassare le saracinesche a breve. Alcune si sono spostate altrove, molte hanno chiuso definitivamente. Non meno pesante l’impoverimento di servizi: ultimo “abbandono” quello di un istituto di credito.
Per il centro storico di Città di Castello è vera emergenza: la denuncia è della Confcommercio Altotiberina, che sottolinea con fortissima preoccupazione il progressivo e apparentemente inarrestabile spopolamento di imprese e funzioni. Un malato grave – il centro storico – che rischia di avviarsi verso un declino senza ritorno a causa di scelte che negli anni hanno progressivamente spostato altrove, in particolare verso l’ex zona industriale, il baricentro commerciale della città.
“Sono anni – sottolinea il presidente del Mandamento di Città di Castello di Confcommercio Umbria, Mauro Smacchia – che abbiamo lanciato il nostro grido di allarme rispetto a questa situazione, frutto del depotenziamento progressivo del centro storico a vantaggio di altre aree. Come Confcommercio tuteliamo le imprese del terziario ovunque siano, ma abbandonare il centro di una città significa toglierle identità e storia, e questo non giova a nessuno, neppure a chi sta nelle periferie. Una città deserta è una città che non attira turisti, è meno sicura e non ha più un’anima. Ci sono imprese che sono alla terza-quarta generazione, che rappresentano la storia di questa città, e che stringono i denti per resistere, ma con sempre maggiore difficoltà.
L’insediamento di medie e grandi strutture di vendita sul nostro territorio, produce effetti destabilizzanti anche per le attività situate nel capoluogo, nella periferie e nelle frazioni proponendo un’offerta in eccesso rispetto ai reali bisogni della popolazione.
Le politiche urbanistiche e commerciali degli ultimi decenni, parallelamente a quanto accaduto in tante città umbre, hanno privilegiato nuovi insediamenti commerciali, decisamente sovradimensionati rispetto alle necessità: e ora si parla addirittura di ulteriori aperture! Ci chiediamo onestamente – prosegue Smacchia – se tutto questo risponda ad una logica programmatoria ispirata ad approfondite valutazione, piuttosto che non alla semplice urgenza di dare respiro alle casse del comune con gli oneri di urbanizzazione. Né accettiamo l’accusa – spesso ventilata – che la crisi del centro storico sia responsabilità dei commercianti che non investono. Oltre al fatto che anni di crisi hanno fiaccato la capacità di investimento di chiunque, chi sarebbe così masochista da scommettere in una realtà sostanzialmente abbandonata?! I commercianti devono fare la propria parte, devono innovarsi – non a caso hanno costituito un Consorzio per coordinare attività congiunte – ma non si può chiedere loro di assumersi ruoli e responsabilità che sono di altri. Che la proliferazione incontrollata di superfici commerciali nelle periferie porti incremento dei consumi e di occupazione è una falsità dimostrata: i dati Istat evidenziano che in Umbria la spesa per consumi finali delle famiglie nel 2017 (ultimo dato disponibile) è stata tra le più basse d’Italia, e inferiore alla media del Centro Italia. Dal punto di vista macroeconomico, gli acquisti fatti in un punto vendita, o magari la domenica, o durante il Black Friday, non sono aggiuntivi, cioè portatori di nuovo e genuino valore aggiunto al sistema, ma sostitutivi di quelli fatti in altri negozi e in altri giorni o per i saldi. La proliferazione del tessuto commerciale senza freni e senza logica genera solo una guerra “tra poveri” e illusioni dagli effetti socio-economici dirompenti: lo dimostrano l’altissimo turn over di imprese e le tante chiusure.
Nel dare vocealla categoria di tutti i commercianti, gli artigiani ed i liberi professionisti che ringraziamo per tenere duro a far rimanere aperte le loro attività in questo devastante periodo – conclude Smacchia – ribadiamo che una seria politica commerciale deve ripartire dalla difesa e dal miglioramento dell’esistente, dal riconoscimento del valore del centro storico e dalla riappropriazione del suo ruolo di traino e di carta di identità della città”.
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