Confcommercio Umbria: “No alla TARI 2021” | Confcommercio
Confcommercio Umbria: No alla Tari 2021

Confcommercio Umbria: “No alla TARI 2021”

Confcommercio Umbria chiede una sospensione della Tari per l’anno in corso, a beneficio di tutte le imprese danneggiate dall’emergenza economica. Il presidente Mencaroni: “Attività chiuse, ma Tassa rifiuti sempre a livelli record. In Umbria, alcune categorie pagano la Tari più alta d’Italia”
giovedì 1 Aprile 2021 | iconCONDIVIDI iconSTAMPA

Altro che “chi inquina paga”! Il principio europeo secondo il quale le amministrazioni dovrebbero commisurare la Tari ai rifiuti realmente prodotti è totalmente disatteso, specialmente in Umbria, dove alcune categorie di imprese detengono il triste primato della tassa più alta d’Italia.

La tassa rifiuti TARI continua a rappresentare per le imprese del nostro territorio un peso insostenibile e ingiustificato, se si considerano le iniquità che lo caratterizzano”, dice il presidente di Confcommercio Umbria Giorgio Mencaroni, sulla base dei dati raccolti dal portale Confcommercio www.osservatoriotasselocali.it e resi noti oggi.

I dati raccolti ed analizzati da Confcommercio confermano il peso eccessivo della Tassa sui rifiuti pagata da cittadini e imprese, nonostante l’emergenza da Covid-19 abbia obbligato molte attività a chiudere e nonostante si sia registrata nel 2020 una contrazione del Pil di quasi 9 punti percentuali, con conseguente riduzione di consumi e di rifiuti.

Nell’andamento regionale per capoluoghi, l’Umbria conferma l’andamento nazionale: la differenza percentuale tra Tari pro-capite 2020 e Tari pro-capite 2019, sia a Perugia che a Terni, è infatti pari a zero: segno che un anno di pandemia sembra essere passato invano, da questo punto di vista.

Nonostante la chiusura delle attività, e il calo dei rifiuti che a livello nazionale è del 15% rispetto all’anno precedente, l’ammontare della TARI non è infatti sostanzialmente cambiato.
Gli interventi di alcuni Comuni umbri, che hanno concentrato le riduzioni di costo sulla parte variabile della tassa come da indicazione dell’Arera, complessivamente non hanno inciso in maniera significativa sul peso sopportato dalle imprese.

Di fatto, molte imprese umbre pagano ancora oggi più di quelle di altre regioni: un record odioso, soprattutto per alcuni settori costretti alla chiusura per lunghi periodi e per quelli legati al turismo, totalmente azzerato.

I SETTORI UMBRI PIU TARTASSATI
In Umbria i negozi di abbigliamento, ad esempio, sono quelli che pagano di più in Italia, con una tariffa di 9,72 euro a metro quadrato, seguiti da Liguria e Campania.
Stesso “record” per gli alberghi senza ristorante, che pagano la tassa sui rifiuti più alta di tutti gli esercizi dello stesso tipo in Italia. Mentre gli alberghi con ristorante sono secondi, dopo la Campania.
Primato della tariffa più alta in Italia anche per gli studi professionali, gli autosaloni e perfino per i banchi di mercato dei beni durevoli.

“Questo drammatico elenco – aggiunge il presidente di Confcommercio Umbria – potrebbe continuare per molte altre categorie. Conclusione: si è fatto poco per le imprese chiuse per Covid e nulla rispetto a quelle attività che sono rimaste aperte, ma che, a seguito degli orari di attività ristretti, dei contingentamenti e della minor propensione dei cittadini a uscire e consumare, hanno registrato cali di fatturato significativi.

LA PROPOSTA DI CONFCOMMERCIO
Confcommercio Umbria chiede una sospensione della Tari per l’anno in corso, a beneficio di tutte le imprese danneggiate dall’emergenza economica.

Servono inoltre interventi strutturali affinché venga recepito il nuovo metodo tariffario determinato dall’Arera, vincolando la Tari al rispetto del principio europeo “chi inquina paga”.

Ma servono anche misure emergenziali, visto il perdurare della diffusione epidemiologica da Covid-19. Confcommercio chiede pertanto che siano esentate dal pagamento della Tassa tutte quelle imprese che, anche nel 2021, saranno costrette a chiusure dell’attività o a riduzioni di orario.

Analoghe misure dovranno essere riconosciute in favore di tutte quelle altre imprese che, pur rimanendo in esercizio, registreranno comunque un calo del fatturato – e quindi dei rifiuti prodotti – a causa della contrazione dei consumi.